Milano, 22 marzo 1912 – Fossoli (Modena), 12 luglio 1944
Carlo Bianchi e’ una figura di spicco nel panorama del contributo dei cattolici alla Resistenza ed alla Guerra di Liberazione.
Carlo nacque da una agiata famiglia cattolica di imprenditori, molto impegnata nella parrocchia dei SS. Nazaro e Celso alla Barona. Iniziò il suo corso di studi presso il Collegio S. Carlo, completandolo fino alla terza Liceo Classico e successivamente si iscrisse alla Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano, allora Regia Scuola di Ingegneria. Negli anni dell’università entro a far parte Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI).
In quegli stessi anni Carlo trascorse più volte parte delle vacanze estive in Germania ed ebbe così modo di vedere la nascita del nazismo, la sua affermazione ed il consenso collettivo al regime totalitario. Una volta, nel 1934 o 1935, di ritorno dal suo periodo di vacanze in Germania, discutendo con alcuni amici che gli chiedevano di Hitler e del Reich, Carlo, profeticamente, rispose: “…O faranno una rivoluzione tra di loro e sarà terribile, o si romperanno la testa con tutti gli altri. Sono troppo esaltati… Se irromperanno fuori dalla loro terra, bisognerà fermarli ad ogni costo, ma il cozzo sarà duro …”
Nel 1935 si laureò in Ingegneria e, dopo un breve periodo di lavoro alla Siemens Elettra, iniziò ad occuparsi dell’azienda di famiglia. Divenuto Presidente della FUCI milanese, nel gennaio del 1944 fu tra i creatori de “La Carità dell’Arcivescovo”, un centro di assistenza per i diseredati di Milano. Praticamente negli stessi giorni, l’ing. Bianchi entrò a far parte del CLNAI e collaborò alla redazione de “Il Ribelle”, un foglio clandestino di ispirazione cattolica e vicino alle “Fiamme Verdi”.
“La Carità dell’Arcivescovo” divenne una efficace copertura per l’appoggio ai perseguitati politici, agli ebrei ed alla Resistenza. Queste attività venivano anche svolte da O.S.C.A.R, una organizzazione scout clandestina con la quale Carlo Bianchi collaborò. Dopo pochi mesi, il 27 aprile 1944, tradito da un suo collaboratore, Carlo Bianchi fu arrestato in piazza San Babila.
Dopo circa un mese trascorso nel braccio dei politici del carcere di San Vittore, gestito direttamente dalle SS, fu trasferito al campo di concentramento di Fossoli in attesa della deportazione in Germania. Dopo un’azione compiuta a Genova dai partigiani, i tedeschi decisero di porre in atto una rappresaglia sugli internati di Fossoli. Carlo Bianchi, prigioniero nr 1551 della baracca 21/a, fu trucidato, con altri sessantasei detenuti politici che avrebbero dovuto essere deportati in Germania, nel vicino Poligono di tiro di Cibeno.
Condotti sul posto in tre gruppi, furono fucilati sull’orlo di una fossa comune scavata il giorno prima da internati ebrei. Al termine dell’eccidio la fossa fu ricoperta ed occultata.
Tra i sessantasei vi era anche Manfredo Dal Pozzo “Nino”, il cui sacrificio è ricordato sia tra i nomi della lapide collettiva dell’androne di Via Bergognone 34, sia da una lapide affissa sotto la sua abitazione di Via Gran S. Bernard 18, a Porta Volta. Tra i sessantasei vi era pure Luigi Vercesi il cui figlio Renato allora appena nato, sarà poi per anni presidente dell’ANPI di Niguarda.
L’Ing. Carlo Bianchi lasciò tre figli e la moglie Albertina, in attesa del quarto. Dopo la Liberazione la stampa diede grande rilievo all’esumazione dei martiri del poligono di Cibeno e, il 24 maggio 1945 si tennero le esequie solenni nel Duomo di Milano.