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Ottaviano Pieraccini, Via Degli Olivetani

Ottaviano Pieraccini – Via Degli Olivetani

Ottaviano Pieraccini nasce a Macerata il 15 maggio 1898.

Trascorre l’infanzia e l’adolescenza ad Arezzo dove il padre Arnaldo dirigeva l’ospedale psichiatrico. Cresciuto in una famiglia antifascista aveva ereditato dal padre e dallo zio Gaetano Pieraccini, che sarà il sindaco di Firenze liberata, altruismo, coraggio e integrità morale. A Milano, dove si era trasferito dopo la laurea in legge, cominciò ad esercitare la professione di avvocato, ma per il suo rifiuto ad iscriversi al partito fascista non potè più esercitare.

Racconta la figlia Nina:

“Quando il babbo entrò nella lotta clandestina per mantenere la famiglia preparava le comparse per gli altri avvocati che non sempre pagavano il lavoro svolto. La mamma Olga, per guadagnare qualcosa lavorava a maglia per un noto negozio di Milano. Fummo costretti a trasferirci in una casa senza portiere per evitare di essere sorvegliati, e ricordo un bellissimo giardino con un grande albero di fichi. Alcune volte, portavo dei messaggi clandestini in un cestino sotto i fichi. Ero contenta di portare quel cestino in giro: la mamma diceva che in quel cesto c’era la speranza per tante persone.”

 Nel 1942 a Milano Pieraccini fu tra i promotori delle riunioni clandestine che dettero poi luogo alla fondazione del Movimento di Unità Proletaria, sotto la guida principale di Lelio Basso, Roberto Veratti, Corrado Bonfantini e altri. Dopo la morte di Veratti, fu Pieraccini a ereditarne le responsabilità e la presenza politica.

Dal Corriere d’informazione del 16.2.1946:

“Ovunque presente nel Comitato di Liberazione dell’Alta Italia, nell’esecutivo del Partito, nella preparazione difficile e rischiosissima della stampa clandestina. Organizzatore ed animatore dello sciopero del marzo 1944, quello che rimarrà la più eroica manifestazione di forza e di volontà del proletariato italiano nel periodo del terrore nazifascista”

Viene arrestato il 1°marzo del ‘44 e tradotto nel carcere di San Vittore. La moglie e la figlia riescono con uno strattagemma a vederlo. Racconta la figlia:

“Ricordo ancora chiaramente il babbo che guardava in alto, verso un palazzo vicino dove io e la mamma ci affacciavamo quando i detenuti nel cortile di San Vittore uscivano per l’ora d’aria. Il portiere del palazzo, che sapeva quando uscivano i detenuti, ci faceva salire nel terrazzo così potevamo vederlo. La volta dopo però dal cortile le guardie cominciarono a sparare in aria, qualcuno forse ci aveva notato. Da allora non l’ho più rivisto.”

Quando Ottaviano viene arrestato, la moglie e la figlia diventano “ricercate”. “Da quel momento, anche la nostra vita diventa difficile – racconta Nina – eravamo sempre in fuga. Pensavano che prendere me fosse l’unico modo per far parlare mio padre. Per fortuna il babbo aveva molti amici che ci proteggevano e ci trovavano posti dove potevamo nasconderci. Ci spostavamo continuamente: una sera dormivamo in un convento, la sera dopo da un’altra parte e io non potevo dire a nessuno come mi chiamavo”.

Da San Vittore Pieraccini viene trasferito a Fossoli.

Qui mia madre lo vide per l’ultima volta. Mescolata ai contadini che zappavano fuori dal campo riuscì a salutarlo e a fargli sapere che stavamo bene.”

Riportiamo l’ultima lettera di Ottaviano alla moglie

Fossoli, luglio 1944

Carissima,

fra neppure un paio d’ore, anch’io lascerò questo campo per l’altro di Bolzano (esattamente sembra sia Gries località o meglio frazione quasi attaccata alla città). Sono con me gli altri buoni amici Ravelli, Erandini ecc.

Non ti nascondo, per tante e tante circostanze e considerazioni che del resto ti è facile indovinare e immaginare, che questo nuovo trasferimento mi infastidisce. Mi consola solo il fatto che tornerò così a riunirmi agli altri buoni amici: abbiamo iniziato insieme la nostra pena e insieme la termineremo. Altro elemento che mi solleva alquanto è quello che con questo i nostri pellegrinaggi dovrebbero ritenersi terminati. Perché ci si assicura che il nuovo campo che ci ospiterà è Arbeit-Erzicheny-Fold (vuol dire campo di lavoro e di educazione) in altre parole non è campo di smistamento come Fossoli. In altri termini il nuovo campo è veramente un campo dove si sconta la pena. E con questo non ti impressionare, perché è campo di primo grado e, quindi, press’a poco, sotto questo aspetto, organizzato e disciplinato come questo.

Dunque, se lavori saremo chiamati a compiere, saranno leggeri e ripartiti con orario assolutamente normale. Abbiamo d’altra parte anche il grande vantaggio di rimanere al di qua delle Alpi. Molto seccante e tormentoso sarà il poter corrispondere con voi solo con gran fatica: chissà se riusciremo e quando. Ti giungesse almeno la presente: varrebbe a rassicurarti e a tranquillizzarti. Ma se per del tempo le comunicazioni tra noi restassero interrotte, e il periodo, comunque, come tutto, specie in questi ultimissimi giorni, porta a ritenere, non dovrebbe essere lungo. Tu non avere preoccupazione di sorta per me. A me basta di saperti vicina a persone care e brave per trovare il più grande conforto e quella serenità che mi permetta di affrontare anche l’ultima tappa moralmente equipaggiato. Il mio pensiero è sempre attaccato a te, mia cara Olga e a Ninani con sempre maggiore amore, affetto, ansia e delizia. Non potevo dare a me sposa migliore e a Nina mammina più brava. E questo se acuisce il mio tormento nel pensarvi senza di me, mi induce, d’altra parte, a maggiore tranquillità per voi. Non ho quindi raccomandazioni alcune da farti: sai benissimo come regolarti e, più ancora, sai benissimo che io ho la più assoluta fiducia in te e nelle tue decisioni. Ricordami a tutti gli amici e di’ loro la mia gratitudine per l’ieri, l’oggi e il domani. Salutameli tutti: sono troppi perché io possa nominarli uno a uno, mi sono egualmente cari tutti. Un abbraccio affettuoso per Carlo, speciali cordialità alla Augusta e alla mamma.

A te tantissimi baci tuo

Ottaviano

Carissima Ninani,

so che sei sempre molto brava e buona. Io sono contento che tu voglia tanto bene alla mammina e l’obbedisca. Continua e sarai tu la prima ad essere felice e trovartene bene. Dico a te come alla mamma che ci rivedremo ben presto. Abbiti intanto tanti e tanti bacini affettuosi dal tuo

Babbo

Contrariamente a quanto aveva espresso nella lettera alla moglie, Gries non è l’ultima tappa, egli viene deportato il 4 di agosto nel campo di concentramento di Mauthausen.

“Il babbo parlava bene il tedesco, e a chi conosceva questa lingua nel campo venivano date mansioni meno dure. Lui disse di non saperlo parlare”.

Riportiamo la testimonianza che Vittorio Bardini ha rilasciato al padre di Ottaviano in data 18 luglio 1945.

“Il sottoscritto Bardini Vittorio ebbe la gioia di essere stato amico di suo figlio fin dal 1919, quando egli studiava a Siena, ed allora insieme militavamo nelle file della gioventù socialista. Poi, in conseguenza della reazione e della persecuzione dei fascisti, ci separammo per rincontrarci solamente nelle carceri di Milano, nell’aprile del 1944. I pochi mesi che trascorremmo insieme a Milano e Fossoli furono per entrambi, sia pure in prigione e tra continui pericoli, il tempo migliore che dedicammo a discussioni di tutti i problemi che interessavano il nostro popolo, il nostro paese, le nostre idee. Trovai Ottaviano appassionato ed entusiasta. Il 21 giugno 1944 ci separammo. Lui restò a Fossoli ancora per un mese, mentre io partii alla volta di Mauthausen. Ci rivedemmo nel mese di agosto in detto campo, ma solo per pochi istanti, poi il povero Ottaviano, unitamente a molti altri compagni e amici, fu inviato al ancor più bestiale campo di Gusen, che fu la tomba di tanti italiani.”

Qui si inserisce la testimonianza di Aldo Ravelli:

“Fummo poi mandati nel campo di eliminazione di Gusen dove per circa un mese lavorammo, sempre assieme in una cava di pietre a trasportare massi di granito. Poi lui si ammalò di polmonite verso la fine di settembre. Guarì per miracolo perché Lorenzetti era riuscito a salvare dalle perquisizioni qualche pastiglia di sulfamidici. Nel mese di dicembre andammo insieme a lavorare in una officina, il lavoro era meno pesante, ma purtroppo l’alimentazione minima ci minava giornalmente. Riuscì tramite qualche protezione, a non lavorare per più di due mesi, e solo per questo si trascinò sino alla metà di marzo e precisamente al giorno tredici quando fu mandato nei blocchi di eliminazione perché non più in condizioni di lavorare”

Riprende la narrazione Bardini:

“Fu in condizioni di grande sfinimento che il povero Ottaviano arrivò a Mauthausen e infatti fu messo al blocco (baracca) dei destinati a morte sicura. In tutto l’ospedale non vi erano medicinali, né disinfettanti, né bende; il vitto era cattivo e scarso, per 47 giorni, dal gennaio al maggio, restammo senza pane. Il nostro cibo si componeva di un piatto di una lurida zuppa di rape o verdure secche, una finissima fetta di salame o margarina e un quarto di acqua nera senza zucchero. Suo figlio, malgrado le gravi condizioni in cui versava e le disagiate condizioni di alloggiamento (dormivamo in quattro o cinque per letto che era a un sol posto), ebbe il morale sempre elevato e per entrambi, quando ci rivedemmo fu una grande gioia. Mi adoperai subito per farlo cambiare di baracca e l’ottenni mediante l’intervento di un compagno tedesco che aveva combattuto in Spagna dalla parte repubblicana e da pochi mesi era stato nominato capo baracca. Infatti dopo questo cambiamento le sue condizioni migliorarono, particolarmente per il dormire, gli fu assegnato un letto a due invece che a quattro. Da parte mia feci tutto quanto mi fu possibile per aiutarlo con un po’ di pane, zuppa ed altro, ma purtroppo le sue condizioni di esaurimento erano arrivate ad un punto tale che, con i mezzi che avevamo a disposizione, non fu più possibile salvarlo.

Le sue condizioni cominciarono sensibilmente a peggiorare verso il 20 di marzo; io cercai sempre di fargli coraggio in tutti i modi, ed egli era soddisfatto e gioiva quando andavo a trovarlo; per lui era una festa, ma per me era diventata una sofferenza perché vedevo ogni giorno l’avvicinarsi della sua fine. E purtroppo la mattina del 28 marzo alle ore 8 circa il nostro Ottaviano cessava di vivere.

La di lui perdita fu per tutti i suoi compagni un dolore molto grave, ma soprattutto per me data l’amicizia che ormai ci univa. Fino al giorno prima parlavamo delle cose nostre, della guerra, degli sviluppi della situazione politica, del nostro desiderio di vedere a breve scadenza il sorgere del partito unico della classe operaia.

Le sue ultime parole furono parole di fiducia nell’avvenire dei nostri ideali e di certezza nella vittoria. Ricordò la sua bambina e lei”.

Un altro compagno di prigionia Mino Micheli, nel libro “I vivi e i morti”, così racconta la morte di Pieraccini.

“Quella mattina tutto in lui sembrava spento, gli sollevo la testa, lo chiamo, solleva appena le palpebre e ho l’impressione che mi veda e mi riconosca. Gli parlo, gli faccio il nome di sua figlia “Ninani!”. Socchiude gli occhi e il suo volto ha una contrazione. Gli adagio la testa sul pagliericcio, tiro le coperte sulle mani fredde incrociate, e vado via con la tempesta nel cuore. Addio Ottaviano”.

Ancora la testimonianza di Ravelli:

“Posso dire che è stato un meraviglioso combattente, ha accettato consapevole tutte le sofferenze e quando ormai capiva che non avrebbe potuto resistere, non ha avuto parole di recriminazione, ma ha accettato la sua sorte con una serenità veramente unica.

Purtroppo tutto quello che si è detto sui campi di eliminazione risponde a verità e quindi il povero Pieraccini ha dovuto vivere tutto ciò e l’avere potuto resistere sino alla fine di marzo è una prova che ha combattuto con tutte le sue forze, ma purtroppo la salute non ha sorretta la sua forza di volontà!!”

Termina così la testimonianza di Bardini:

“Il nostro povero compagno ha fatto purtroppo anch’egli la fine di quegli sventurati: la morte e dopo di essa il crematorio. La stragrande maggioranza dei nostri connazionali e delle altre nazionalità ha fatto questa fine, cioè l’87% sono rimasti per sempre in detti campi.

Per le mie convinzioni e anche per espresso desiderio di Ottaviano, credo che l’unico modo di onorarlo e di ricordarlo degnamente sia di continuare nella lotta per la realizzazione di quegli ideali che furono suoi e restano nostri”.

Le informazioni qui riportate hanno le seguenti fonti:

– Testimonianza della figlia Nina raccolta da Emerita Cretella (trovata su internet)

– La lettera alla moglie Olga e le testimonianze di Vittorio Bardini e Aldo Ravelli si trovano alla Fondazione della Memoria della deportazione, in Via Dogana 3 Milano.

– Mino Micheli, “I vivi e i morti” edizioni Mondadori

(A cura della sezione Anpi Milano Porta Genova Raffaele De Grada, Aprile 2016)

Disegno dedicato a Ottaviano Pieraccini di Daniela Campiotti, Vice Presidente Anpi Porta Genova.